Gli effetti della pandemia sul mercato del gas hanno reso scarsamente competitivo il trasporto via pipeline in alcune regioni, tanto che la russa Lukoil è stata costretta a sospendere l’export del suo gas estratto in Uzbekistan verso la Cina.
La compagnia russa, la seconda del Paese per dimensione nel settore dell’oil&gas, non può esportare direttamente all’estero il metano prodotto in madre patria, che viene venduto principalmente al colosso statale Gazprom, il quale poi lo distribuisce a sua volta sui mercati internazionali.
Per tentare di bypassare questa situazione e avere accesso diretto ai mercati asiatici, Lukoil aveva quindi deciso di sviluppare una serie di progetti nel vicino Uzbekistan, investendo oltre 10 miliardi di dollari che sperava poi di poter ammortizzare con la vendita del gas uzbeko alla Cina. Ma l’epidemia di Covid ha di fatto mandato all’aria lo schema, almeno per il momento. Con il crollo della domanda, infatti, i prezzi del gas in generale sono rapidamente diminuiti, e quindi il GNL, che viene commercializzato su base spot è diventato più competitivo rispetto al prodotto spedito via pipeline, le cui forniture sono solitamente legate a contratti di lungo periodo meno sensibili alle dinamiche di prezzo contingenti.
Motivo per cui Lukoil ha dovuto sospendere l’export di gas – che avveniva appunto tramite condotta – dall’Uzbekistan alla Cina, dirottando sul mercato interno uzbeko oltre 5 miliardi di metri cubi di metano, come ha spiegato alla Reuters Pavel Zhdanov, Vice-president di Lukoil.
“Molto dipende da quando la domanda inizierà a riprendersi” ha detto. “Il GNL è diventato più economico rispetto al gas trasportato via pipeline, incluso quello dall’Uzbekistan, ma noi ci auguriamo che la situazione possa tornare quella precedente ad un certo punto”.
Il manager russo non si è sbilanciato su quando ciò potrà accadere, ma ha detto che ci sono dei primi segnali di ripresa della domanda di gas in Cina, il principale consumatore del mondo, e Lukoil è in trattativa per riattivare le forniture.