In Cina, negli ultimi 15 anni, è cresciuta enormemente la ramificazione della rete di distribuzione del gas: la Repubblica Popolare fa sempre più affidamento sul metano per i consumi privati e domestici, uno switch che riduce l’impatto ambientale ma che parallelamente accresce la dipendenza energetica del Paese da fonti estere.
Secondo dati ufficiali citati dalla Reuters, il numero complessivo di residenti delle aree urbane che avevano accesso al gas via tubo nel 2018 erano 370 milioni, rispetto ai soli 83 milioni del 2006. In termini percentuali, la quota di cittadini cinesi connessi alla rete di distribuzione del metano è passata dal 14% nel 2006 al 44% nel 2018.
Ovviamente, questo tipo di servizio resta esclusivo appannaggio degli abitanti delle grandi città, specie quelle ubicate nell’area settentrionale della Cina dove, a causa di inverni più rigidi, è maggiore la domanda di gas per riscaldamento.
E infatti, considerando le 4 ‘mega-city’ di livello provinciale, la percentuale di cittadini connessi alla rete del gas cresce progressivamente andando da sud a nord: 68% a Chongqing, 77% a Pechino, 84% a Shanghai e 96% a Tianjin.
Il crescente consumo di metano, in sostituzione di combustibili più inquinanti come il carbone, ha contribuito in misura determinante e ridurre le emissioni: l’inquinamento atmosferico è infatti calato nelle 4 citate mega city e in tutti i 28 capoluoghi di provincia cinesi, in percentuali comprese tra il 15% e il 40% tra 2006 e 2018. Ma questa transizione dal carbone al gas ha reso anche la Repubblica Popolare sempre più dipendente da fonti estere, minacciando di fatto la sua sicurezza energetica.
Se infatti nel 2006 la Cina era sostanzialmente autosufficiente da questo punto di vista, con una produzione interna di 58 miliardi di metri cubi all’anno che era sufficiente a saturare la domanda nazionale, già nel 2018 la situazione appariva radicalmente mutata. Il pur sensibile incremento dell’output domestico, arrivato a 160 miliardi di metri cubi annui, non era più neanche lontanamente sufficiente a soddisfare i consumi interni nel frattempo ‘balzati’ a 280 miliardi di metri cubi all’anno.
Ad oggi quindi la Cina è costretta a importare dall’estero circa il 40% del gas consumato annualmente sul mercato interno, rendendo molto più instabile, e soggetto a dinamiche di natura geopolitica, il suo approvvigionamento di metano.
Un terzo dell’import, per esempio, è costituito da GNL proveniente dall’Australia, Paese che – fa notare la Reuters – è politicamente molto vicino agli USA, i principali avversari di Pechino sullo scacchiere internazionale. Una quantità di poco superiore arriva invece via pipeline da Turkmenistan, Kazakhstan e Uzbekistan, mentre la quota restante ha origini molto diverse: volumi di GNL arrivano da Qatar, Malesia, Indonesia, Papua Nuova Guinea e Russia, mentre parte del gas arriva via condotta da Russia e Myanmar.
Un mosaico complesso e articolato, che rende certamente più instabile la sicurezza energetica della Cina.