Sembrerebbero ormai sul punto di ripartire i lavori del Nord Stream 2, il nuovo gasdotto che da tempo Gazprom sta cercando di completare per poter così raddoppiare la sua capacità di trasporto di gas russo verso la Germania e, quindi, verso tutti i principali mercati dell’Europa centrale.
Secondo quanto riportato dall’agenzia di stampa Reuters, infatti, la nave posatubi russa Akademik Cherskiy, il mezzo a cui Gazprom – o meglio la sua controllata Nord Stream 2 AG, la società che formalmente sta realizzando l’infrastruttura – è dovuta ricorrere dopo che, nel dicembre dello scorso anno, il contractor svizzero Allseas, a cui erano stati affidati i lavori di posa della condotta, aveva dovuto rinunciare all’incarico a causa delle sanzioni imposta dal Governo USA, avrebbe infatti lasciato il porto russo sul Baltico in cui era ormeggiata e avrebbe raggiunto la porzione di mare dove dovrebbe essere installato l’ultimo tratto della pipeline.
Scenario che combacia con le informazioni circolate solo poche settimane fa, quando la German Waterways and Shipping Authority Stralsund aveva ricevuto da Nord Stream 2 AG una comunicazione relativa all’impiego di lavoratori marittimi in cui si precisava che i lavori di posa di un tratto del gasdotto sarebbero stati svolti tra il 5 e il 31 dicembre.
A mancare, per completare il collegamento, è il tratto di circa 150 Km che attraversa le acque territoriali danesi: proprio le competenti autorità di Copenaghen alcuni mesi fa avevano rilasciato a Gazprom l’autorizzazione a svolgere queste operazioni utilizzando una nave posatubi con posizionamento ad ancore, sistema ormai piuttosto sorpassato, di cui però è dotata la Akademik Cherskiy, il cui impiego peraltro non è mai stato confermato ufficialmente dal gruppo energetico russo.
Sembra quindi che l’installazione dell’ultimo tratto del Nord Stream 2 sia sul punto di riprendere nonostante la forte opposizione politica internazionale. Se infatti da sempre gli Stati Uniti hanno osteggiato questo progetto, temendo un acuirsi della già forte dipendenza energetica del Vecchio Continente da Mosca (e anche una riduzione dei potenziali spazi di mercato per il GNL di origine americana), così come ha fatto la Polonia, tra i membri dell’UE più ‘ostili’ alle politiche del Cremlino, recentemente anche la Germania, inizialmente il più fervente sostenitore (e primo beneficiario) dell’infrastruttura, ha irrigidito la sua posizione in conseguenza del ‘caso’ dell’avvelenamento del dissidente russo Alexei Navalny.
L’opposizione più accesa, e attiva, resta comunque quella degli USA: recentemente Robin Quinville, ambasciatore americano a Berlino, ha dichiarato che “la pipeline non è un progetto economico, ma uno strumento politrico del Cremlino per bypassare l’Ucraina (da dove passa la principale rotta dal gas russo diretto in Europa, ndr) e dividere l’Europa”, mentre nei giorni scorsi è stato confermato che nuove e ancor più stringenti sanzioni, rivolte a tutti quei soggetti che in qualche modo dovessero aiutare il lavoro di posa della condotta, dai certificatori degli equipaggiamenti ai fornitori di coperture assicurative, saranno contenute nel National Defense Authorization Act (NDAA) in fase di approvazione (e l’esito è piuttosto scontato trattandosi di un provvedimento quadro annuale sui temi della difesa militare) da parte del Parlamento di Washington in queste settimane.