Si addensano nubi sul futuro del nuovo gasdotto BRUA, che dovrebbe collegare Bulgaria, Romania, Ungheria e Austria e che l’operatore rumeno della rete Transgaz vorrebbe completare entro la fine di quest’anno.
La pipeline, che ha ottenuto finanziamenti dall’Unione Europea e che avrebbe come scopo primario quello di ridurre la dipendenza energetica dalla Russia di questa ‘fetta’ di Vecchio Continente, dovrebbe avere una capacità annua di 1,75 miliardi di metri cubi di gas all’anno nella prima fase, per un investimento complessivo stimato di 479 milioni di euro.
Il problema non sta tanto nella sua realizzazione, quanto nel fatto che potrebbe mancare la fonte di gas deputata ad alimentare la condotta, come ha rivelato recentemente (secondo la ricostruzione della Reuters), nel corso della conferenza Energetic Focus Maria Manicuta, dell’ente regolatorio nazionale ANRE: “Speriamo che BRUA possa essere finalizzata entro l’anno, ma dal momento che non abbiamo risolto i problemi relativi all’estrazione di gas nel Mare Nero, mi chiedo cosa trasporteremo nel gasdotto”.
Manicuta ha quindi aggiunto: “Sono certa che alla fine il BRUA verrà utilizzato, ma per il futuro prossimo ci sono dei rischi che resti vuoto”.
Il gasdotto doveva infatti essere alimentato con il metano estratto dai giacimenti offshore nella porzione rumena del Mar Nero, il cui sfruttamento tuttavia non è mai decollato.
Secondo la Reuters, nel corso degli anni di versi gruppi energetici internazionali hanno investito miliardi nel tentativo di sviluppare queste risorse, finendo poi per essere scoraggiati dal proseguire a causa delle rigide limitazioni all’export e alla forte pressione fiscale imposta dal precedente Governo rumeno di centrosinistro.
Ora, il nuovo esecutivo centrista ha iniziato a mettere mano al sistema regolatorio del settore energetico nazionale, ma gli investitori stanno ancora aspettando l’auspicata revisione della tassazione sui progetti offshore.
Lo scorso gennaio, la major americana ExxonMobil ha detto di stare valutando il suo ritiro del progetto Neptun Deep, bloccato da tempo per queste ragioni. Il suo partner nell’iniziativa, la rumena OMV Petrom – una controllata dal gruppo austriamo OMV – ha invece ribadito la volontà di portare avanti il Neptun Deep, ma non riprenderà le attività e gli investimenti prima di aver verificato l’effettivo alleggerimento della pressione fiscale. Stessa ragione per cui resta in stand-by il più piccolo progetto Black Sea Oil & Gas, promosso dall’omonima società, controllata dal fondo di private equity americano Carlyle Group.